giovedì 2 settembre 2010

masculino y feminino

Mi trovo a dover ripostare un post che avevo scritto tipo una settimana fa perché nel mio stato di catalessi, mentre eliminavo delle bozze, ho cancellato anche quello...-.- probabilmente nn riuscirà come l'originale, ma io ci provo...

mi è capitato moto di rifletter in questi giorni su cosa significhi essere donna. insomma pensateci, siamo dei personaggi! se non ci fossimo, dovrebbero inventarci (e vista la scarsa capacità degli uomini di capirci, non credo che ci riuscirebbero...!)! di recente mi è stato detto (e qui cito in pieno il mio amico G) che siamo "continuamente sospese tra la cura del nostro corpo e la cura della nostra mente". vero, ma ecco, il fatto è che questo, mi sono accorta, fa ormai parte della mia personalità, della mia identità di persona e di donna. sì, perché mentre la mamma del mio amico G, quando avevamo 3 anni, lo lasciava nuotare nel fango per ore correndo dietro ad un pallone con gli altri ragazzi, la mia mamma era occupata ad insegnarmi a non sedermi mai, per nessun motivo, sulla tavolozza di un gabinetto pubblico. e così "LA POSIZIONE", come chiamerò da qui in avanti, entrava a fare parte di me. “la posizione” è una delle prime e più importanti lezioni di vita di una bambina e viene trasmessa da madre a figlia per generazioni.
nonostante gli svariati anni di pratica, però, anche oggi, che possiamo ritenerci praticamente adulte, "la posizione" è terribilmente difficile da mantenere. Infatti, quando "devi andare" in un bagno pubblico, immancabilmente troverai una coda chilometrica. A questo punto ti metti buona ad aspettare, sorridendo amabilmente con gambe e braccia incrociate (=posizione ufficiale del ‘me la sto facendo addosso’).
Aspetti. Sì perché, dei tre bagni disponibili per chissà quale oscura ragione uno risulta “inagibile”, mentre un altro è occupato permanentemente da una mamma alle prese con le prime lezioni di “posizione” per sua figlia, che hai fatto gentilmente passare avanti, perché “davvero non può più trattenersi”.
Finalmente si apre il terzo bagno, e tu ti tuffi addosso alla persona che sta uscendo. Sei all’interno. A questo punto hai due alternative: alternativa a) non c’è la chiave, alternativa b) il chiavistello è rotto. Cerchi il gancio della porta per appendere la borsa (non c’è mai)…nemmeno a pensare di appoggiarla per terra, dove i non definiti liquidi del pavimento hanno ormai creato un microcosmo à sé stante. ti vedi quindi costretta ad appendertela al collo ed è pesantissima, piena com’è di cose inutili che ci hai messo dentro, la maggior parte delle quali non usi mai a le tieni perché “non si sa mai”. Tornando alla porta, dato che la chiave non c’è, devi tenerla chiusa con una mano, mentre con l’altra ti abbassi i pantaloni e assumi “la posizione”. AAhhhhhh…finalmente…
Ora cominciano a tremarti le gambe, sì, perché sei sospesa in aria, con le ginocchia piegate, i pantaloni abbassati che ti bloccano la circolazione, il braccio teso che forza contro la porta e una borsa di 5 chili appesa al collo. La tentazione di sedersi è forte, ma non hai né avuto il tempo di pulire la tavolozza, né di ricoprirne di carta igienica il perimetro. Il viso di tua madre ti appare nei liquidi del pavimento “MAI, mai appoggiarsi sul gabinetto pubblico!”, quindi resisti.
Arrivati a questo malaugurato punto, per un errore di calcolo un piccolo zampillo ti schizza le scarpe! Sei fortunata se non ti bagni i jeans. Mantenere “la posizione” richiede grande concentrazione. Per allontanare dalla mente questa disgrazia, cerchi il rotolo della carta igienica maaa, cavolo! Non c’è (mai). Allora preghi il cielo che tra quei 5 chili di cianfrusaglie che hai in borsa ci sia un misero kleenex, ma per cercarlo devi lasciare andare la porta, ci pensi su un attimo, ma non hai scelta. Non appena lasci la porta qualcuno la spinge e devi frenarla con un movimento brusco, altrimenti tutti ti vedranno seminuda, in aria, con la borsa appesa al collo. NO! Allora urli con tutto il fiato che hai in corpo richiamando all’appello le poche energie che ti sono rimaste “O-CCU-PA-TOOO!”. A quel punto dai per scontato che tutte quelle che aspettano fuori abbiano sentito e adesso puoi lasciare tranquillamente andare la porta, nessuno oserà aprirla (qui il rispetto femminile è al suo apice).
Ovviamente nella tua borsa non c’è nemmeno un misero fazzoletto (mai). La luce si spegne. Sì perché, chissà come mai, ma le fotocellule dei bagni non sono mai in grado di riconoscere la minima presenza umana. Ti rimane una sola soluzione: esibirti ne “la danza”. “la danza” è il metodo più utile e più utilizzato dalle donne in mancanza di carta con cui asciugarsi. Accoppi il movimento di braccia tipo “hola” per riattivare la luce ad un intenso lavoro di fianchi per ‘sgocciolare gli eccessi’. Ottieni il risultato sperato. La luce si riaccende.
Sudi, perché hai ancora addosso il cappotto che non avevi dove appendere e perché in questi posti fa sempre un caldo terribile. Immagini le tue condizioni disastrose e il ricordo di tua mamma che si sarebbe di sicuro vergognatissima se ti vedesse in questo stato, perché il suo culo non ha mai toccato la tavolozza di un bagno pubblico, perché davvero “non sai quante malattie potresti prenderti qui”.
Quando ti metti in piedi non senti più le gambe, ti rivesti velocemente e soprattutto tiri lo sciacquone! Se non funziona (70% dei casi) preferiresti non uscire più da quel bagno, che vergogna! Ti dirigi dritta al lavandino che è, ovviamente, intasato. Non hai (come prima) di dove appoggiare la borsa, quindi te la appendi alla spalla. Il rubinetto cui sensori automatici non funziona, e tocchi dappertutto finché un misero rigagnolo d’acqua non comincia a uscire e tu ti lavi le mani (senza sapone che...non c'è!) in una posizione alla Gobbo di Notre Dame per non fare cadere la borsa nel lavandino. Le opzioni ora sono due: a) non c’è la carta per asciugarsi le mani (mai), b) il phon per asciugarsele è scarsissimo e per giunta freddo. In ogni caso opti per la vecchia soluzione di asciugarti le mani sui jeans.
Esci, esausta, sudata e paonazza, passando accanto a tutte le altre donne che ancora aspettano a gambe incrociate e in quel momento non riesci a sorridere spontaneamente, cosciente del fatto che hai passato un’eternità là dentro. Sei fortunata se non esci con un pezzo di carta igienica attaccata alla suola delle scarpe o peggio ancora con la cerniera abbassata (sempre). Speri di aver mantenuto quel po’ di dignità che ti rimaneva. Vedi il tuo ragazzo/amico in corridoio e che ha finito già da un bel pezzo, avendo persino il tempo di leggere Guerra e Pace due volte, mentre ti aspettava. “Perché ci hai messo tanto?” ti chiede irritato. “C’era molta coda” ti limiti a rispondere.
Ecco perché le amiche vanno in bagno insieme. Ecco perché il mio amico G non può capire.
KIKI

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